Per questo mi chiamo Giovanni
Il libro che racconta la vita di Giovanni Falcone
Premessa
Lo scopo di questo post è quello di descrivere il libro letto in classe, “Per questo mi chiamo Giovanni”. Per realizzare questo lavoro ho utilizzato il libro in mio possesso e questi siti: Definizione di Mafia, I rituali mafiosi, I collaboratori di giustizia.Gli anni della gioventù. Da ragazzo qualsiasi a personaggio
Il ragazzo presente nel libro si chiama Giovanni, in memoria del magistrato Giovanni Falcone, un grande uomo che ha combattuto la mafia fino alla morte, avvenuta a causa di un attentato.Avere questo nome, così importante, ha portato il ragazzo a denunciare un suo amico bullo, che aveva spinto apposta un compagno giù dalle scale.
Ha capito che bisogna denunciare qualsiasi azione scorretta nei confronti di altre persone e non fare mai finta di niente.
Il legame tra il padre di Giovanni e Cosa Nostra
Il padre di Giovanni ha avuto per molto tempo delle minacce da parte della mafia, che lo costringevano a pagare il “pizzo” l’ultimo venerdì di ogni mese. Questa cosa era diventata ormai un’abitudine a tal punto da non sembrare più neanche un’ingiustizia, ma dal giorno dell’attentato di Capaci, dove morì Giovanni Falcone, non accettò più la loro protezione e per questo gli bruciarono il negozio.“Cosa nostra” è un'espressione utilizzata per indicare un'organizzazione criminale di tipo mafioso-terroristico, presente in Italia, soprattutto in Sicilia, ma anche in diverse parti del mondo.
La mafia è un fenomeno criminale con natura organizzativa. Va considerata quindi come una vera e propria organizzazione articolata in modi diversi con fenomenologie organizzative differenti a seconda delle varie tipologie criminali.
Rituali
I giuramenti e i rituali di affiliazione nelle organizzazioni mafiose sono riti di passaggio in cui si condensano simbologie sacre e riti cattolici, segnano l’ingresso in una «nuova vita». Si tratta del «battesimo» del nuovo mafioso.Secondo le testimonianze rilasciate da alcuni collaboratori di giustizia il rituale di affiliazione permette di entrare in una sfera esistenziale diversa. Si abbandona un mondo per varcare i confini di un altro, fino a quel momento ignoto: l’organizzazione mafiosa. Non c’è alcuna possibilità di tornare indietro.
L’iniziato si inoltra nella sala e si ferma in piedi davanti a un tavolo sopra cui si trova l’immagine di un santo qualsiasi, purché sia un santo. Offre a due compari la sua mano destra e i due compari punzecchiando per mezzo di un ago il polpastrello del pollice destro ne fanno stillare tanto sangue che basti a bagnarne l’effigie del santo. Sopra questa immagine insanguinata, l’iniziato presta il suo giuramento bruciando con una candela il santo.
Santo Di Matteo, il mafioso “pentito” aveva deciso di collaborare con la giustizia perché si sentiva tradito e minacciato dai suoi compagni, ma questo non fece che peggiorare le cose.
Il figlio, Giuseppe Di Matteo, di 13 anni viene rapito a Palermo, su ordine di Giovanni Brusca, braccio destro del capo di Cosa nostra, Salvatore Riina. Dal 23 novembre del 1993, il bambino viene tenuto prigioniero per più di due anni, in diversi covi che gli amici di Brusca mettono a disposizione. Alla fine verrà portato in un bunker nelle campagne di San Giuseppe Jato.
Il rapimento ha lo scopo di costringere Santo, il papà di Giuseppe ed ex amico di Brusca, a fare marcia indietro. Santo non cede pur conoscendo la ferocia di cui è capace Brusca, rimane fermo nella sua decisione. L’undici gennaio 1996, Brusca decide di disfarsi del ragazzo. Affida l’incarico a suo fratello Enzo, e a due dei suoi scagnozzi più fidati, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo. Giuseppe viene strangolato senza pietà, il suo corpo verrà sciolto nell’acido.
Il figlio, Giuseppe Di Matteo, di 13 anni viene rapito a Palermo, su ordine di Giovanni Brusca, braccio destro del capo di Cosa nostra, Salvatore Riina. Dal 23 novembre del 1993, il bambino viene tenuto prigioniero per più di due anni, in diversi covi che gli amici di Brusca mettono a disposizione. Alla fine verrà portato in un bunker nelle campagne di San Giuseppe Jato.
Il rapimento ha lo scopo di costringere Santo, il papà di Giuseppe ed ex amico di Brusca, a fare marcia indietro. Santo non cede pur conoscendo la ferocia di cui è capace Brusca, rimane fermo nella sua decisione. L’undici gennaio 1996, Brusca decide di disfarsi del ragazzo. Affida l’incarico a suo fratello Enzo, e a due dei suoi scagnozzi più fidati, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo. Giuseppe viene strangolato senza pietà, il suo corpo verrà sciolto nell’acido.
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